Sistematicamente giornali e televisioni ci fanno il lavaggio del cervello, “il sistema previdenziale è prossimo allo SFASCIO” preannunciando nei fatti nuovi interventi. Ma come stanno le cose?
L’analisi dei bilanci del sistema pensionistico mostra che dal 1996, il saldo annuale tra le entrate contributive e le prestazioni previdenziali al netto delle ritenute fiscali è stato ininterrottamente in attivo e nel 2016 è stato di circa 39 miliardi, pari al 2,3% del Pil.
* In particolare, nel 2016 la spesa per pensioni è stata di 248,3 MLD, coperta con 200,5 MLD di contributi versati da lavoratori e aziende e 44,6 MLD versati dallo stato per quanto di sua competenza. Sono mancati 3,2 MLD per avere uscite pari alle entrate.
* Tenendo conto che dai 248,3 MLD sono stati trattenuti dalle pensioni 42,2 MLD per tasse, ben 38,9 MLD di € (42,2 – 3,2) sono l’avanzo attivo che è rimasto allo stato.
Questa situazione si è verificata anche in altri anni; nel 2015 l’avanzo è stato di 34,9 MLD, nel 2014 è stato di 24,0 MLD, nel 2013 è stato di 20,9.
* Dal 1990 al 2016 lo stato ha speso, per le pensioni, sempre meno di quanto incassato sotto forma di contributi e tasse, eccetto gli anni ‘93,’94 e ’95. * fonte bilanci INPS
Si può quindi tranquillamente sostenere che:
1 – Il sistema previdenziale è in equilibrio, anzi produce attivi considerando le imposte trattenute ai pensionati.
* Il Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti (FPLD) con oltre il 90% dei contribuenti e dei trattamenti erogati, evidenzia per l’anno 2016 un saldo previdenziale positivo di 15,1 MLD di € derivante da 113,5 MLD di € di contributi e 98,3 MLD di prestazioni.
Questo risultato positivo complessivo è condizionato negativamente dagli ex Fondi speciali, confluiti nel FPLD con distinte contabilità (ex INPDAI dirigenti d’azienda con pensioni da 50mila € medie annue), Fondo Trasporti, Fondo Volo, Fondo Elettrici), che nel loro complesso presentano un saldo negativo nel 2016 di 8,2 MLD di euro nonostante i contribuenti di detti fondi speciali rappresentino appena il 5% dei lavoratori privati iscritti.
1. Gli ex Fondi speciali e l’insieme dei fondi coltivatori diretti, artigiani e i dipendenti degli enti locali (comuni, province e regioni) si stanno mangiando – e continueranno a mangiare – sia i risparmi di operai, precari, nonché i quattrini di riserva, che dovrebbero servire per coprire la cassa integrazione, la malattia e la maternità dei dipendenti dell’industria.
La spesa pensionistica inoltre ha una dinamica molto contenuta perché dal 1992 le nostre prestazioni pensionistiche non sono più agganciate agli incrementi salariali dei lavoratori attivi e sono indicizzate ai prezzi solo in misura parziale. Ce ne siamo accorti poco perché nel frattempo i salari italiani non sono cresciuti e l’inflazione è bassa o nulla, ma in Germania le prestazioni pensionistiche non hanno mai smesso di essere indicizzate sia agli incrementi reali dei salari che all’inflazione.
La “vera bomba sociale” può scoppiare se non si affrontano per tempo due questioni:
* LA SPESA ASSISTENZIALE. E’ la spesa assistenziale che sta esplodendo, non quella previdenziale; nel 2016 ha toccato 107,0 MLD, è stata di 104,0 MLD nel 2015 e dovrebbe essere a totale carico della fiscalità generale.
Nel 2014 il costo complessivo non coperto da contributi sociali e quindi a carico della fiscalità generale, ammontava a 103,6 MLD per l’assistenza, 112,4 per la sanità e circa 9,9 MLD per il welfare degli enti locali per un totale di 226,0 MLD.
I governi decidono spese assistenziali quali: assegni sociali, invalidità, accompagnamento, pensioni di guerra (ci costano ancora 1,5 MLD dopo 70 anni dalla fine della guerra), maggiorazioni sociali, integrazioni al minimo, 14esima mensilità, social card, decontribuzioni per le assunzioni e dal prossimo anno anche con il reddito di inserimento (Rei), le mettono in carico all’INPS e poi si propaganda che la spesa previdenziale è insostenibile.
E’ arrivato il momento di dividere totalmente la previdenza, finanziata con un’aliquota di scopo cioè i “contributi sociali”, e l’assistenza da finanziare con la fiscalità generale, costituendo enti separati per la loro gestione per garantire un passaggio dalla vita attiva ad una vecchiaia ragionevolmente serena ai cittadini di questo paese, sempre più inquieti e preoccupati.
LE PENSIONI DEL FUTURO. Le riforme fatte, incentrate su calcolo contributivo e su una alta età di accesso alla pensione, comportano prestazioni sempre più lontane, sempre più basse ed insufficienti.
I giovani che oggi faticano ad entrare nel mondo del lavoro e anche i tanti quarantenni ancora costretti a lavori precari e a bassi salari, avranno una copertura pensionistica certamente inadeguata. Crescerà il divario tra i redditi di chi lavora e quelli dei pensionati con inevitabili effetti negativi sulla coesione sociale e sulla solidarietà tra le generazioni.
Per interrompere la tendenza in atto dell’impoverimento relativo degli anziani e per realizzare un’equa redistribuzione del reddito prodotto, occorrerà modificare l’assetto attuale, ritornando al calcolo retributivo che garantiva una continuità di reddito nel passaggio alla pensione.
La previdenza privata, costruita sullo scippo del tfr e su un ulteriore costo messo a carico dei lavoratori, secondo gli imbroglioni dovrebbe risolvere il problema del taglio alle pensioni pubbliche.
In realtà chi vive di lavoro precario, se anche volesse, non può destinare alla previdenza privata neanche un euro.
Essa inoltre implica maggiori costi di gestione e prestazioni incerte poiché legate alla variabilità dei mercati finanziari.
Il risparmio previdenziale gestito dai fondi pensione privati (circa 150 MLD di €) rappresenta un evidente danno per l’insieme del paese perché viene investito per circa il 70% (oltre 100 MLD di €) all’estero, sottraendo risorse agli investimenti nel nostro paese e riducendo le occasioni di lavoro per i giovani.
E’ necessario pensare in tempo ad interventi che garantiscano pensioni proporzionalmente simili a quelle ai salari medi e non legate solo ai contributi versati; va ripristinato il calcolo retributivo superati i contratti di lavoro precari inventati da governi e padroni negli ultimi 30 anni e riconosciuti contributi figurativi per tutti gli anni didisoccupazione involontaria.