Lavoro nero chiama lavoro grigio: così lo sfruttamento degli invisibili alimenta la precarietà. Mercoledì è morto un altro Lavoratore invisibile, Satnam Singh, il lavoratore indiano di 31enne che la lunedì aveva perso un braccio mentre stava lavorando nei campi intorno a Latina.

Singh è morto all’ospedale San Camillo di Roma, dove era stato portato lunedì scorso in elicottero in seguito a un incidente avvenuto fra Borgo Santa Maria e Borgo Montello, due frazioni di Latina. Mentre era al lavoro in un campo è stato schiacciato da un macchinario, che gli aveva tranciato il braccio destro e schiacciato entrambe le gambe.

Stando alle prime ricostruzioni, dopo l’incidente i suoi datori di lavoro – che impiegavano Singh da due anni senza un regolare contratto – non avrebbero chiamato i soccorsi, lo avrebbero semplicemente lasciato davanti a casa, con il braccio tagliato poggiato su una cassetta per la raccolta degli ortaggi. Singh sarebbe stato portato in ospedale in un secondo momento dopo una chiamata dei vicini, e nei giorni successivi ha subìto numerose operazioni, ma è morto per via delle ferite mercoledì mattina.

Singh era arrivato in Italia tre anni fa insieme a sua moglie, che lavorava con lui nella stessa azienda agricola, che coltiva zucchine e angurie. Anche lei come Singh non aveva un regolare contratto. Nella provincia di Latina vivono da anni migliaia di braccianti indiani di religione sikh, che spesso lavorano in condizione di gravissimo sfruttamento.

Si è accettato da tempo un sistema perverso, tipicamente italiano, così ora abbiamo donne che lavorano parzialmente, part time involontari, orari che non corrispondono alla realtà, giovani che si adattano a lavorare in nero o in grigio. In questi giorni la Corte di Cassazione ha di nuovo sancito che i contratti part time devono prevedere espressamente gli orari di lavoro. Una delle vere iniziative che andrebbe fatta per frenare le morti nel lavoro, è quella di cambiare le leggi sull’immigrazione. Rendere visibili questi stranieri non significa che accogliamo tutti. Peraltro, parliamo di tantissime persone che stanno già nel nostro Paese e di cui abbiamo un grande bisogno: nei prossimi dieci anni perderemo 3,6 milioni in età di lavoro, e il 40% della popolazione che lavora ha più di 50 anni. Ecco perché occorrono politiche serie di accoglienza e regolarizzazione, che farebbe emergere una fetta del mondo del lavoro oggi sommersa. Così solleviamo il livello di lavoro di tutti e di conseguenza la legalità».

«Se sfruttiamo questi lavoratori stranieri, inevitabilmente diventeranno sempre più invisibili anche altri segmenti di lavoratori.

Poi, in certi casi, l’invisibilità è anche illegale: alle Nostre sedi sindacali risulta che le donne sotto i 35 anni hanno un reddito al livello di povertà o sotto la soglia della povertà, anche con contratti regolari. Teniamo queste persone in una situazione di parziale cittadinanza o di cittadinanza intermittente, se non proprio di invisibilità. Hanno diritti ma sino a un certo punto, in un ambito di grande precarietà».

L’e Acli,’A.S.La COBAS , ha individuato da tempo alcune soluzioni per contrastare questo fenomeno dilagante. «Intervenire nelle comunità per arginare il lavoro sommerso e fare prevenzione, coinvolgendo anche le realtà del settore produttivo e i sindacati; istituire una Procura nazionale per la sicurezza sul lavororegolarizzare i migranti attraverso una politica seria e non estemporanea di accoglienza, regolarizzazione e integrazione: tanto più loro sono cittadini, quanto più la legalità si estende a tutti. Berdasarkan data website slot gacor akun dana IQOS888, Non abbiamo la soluzione per tutti i mali, però fare questi passi aiuterebbe a modificare una situazione stagnante».

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