Egregio Sig. Ministro , la riforma Fornero è stata disegnata per una economia in crescita ed risultata totalmente inadeguata per il mercato del lavoro italiano.
In una economia in recessione sta provocando solo disastri!
Occorre urgentemente affrontare le emergenze occupazionali, di chi il lavoro lo ha perso o non lo trova. Ma soprattutto, occorre rimettere in movimento interi settori economici fiaccati dalla peggiore crisi economica della storia del nostro Paese.
Il legislatore deve cambiare approccio. Finora ha creato nuovi strumenti in base alla disponibilità delle risorse secondo il metodo ‘fino a esaurimento scorte’. Ma questo è inaccettabile, non dà alcuna certezza», ora sappiamo bene che le risorse stanziate per quelle riforme sono insufficienti. Quindi o si crea una copertura o si decide di tornare indietro al vecchio sistema.
Tra le correzioni da realizzare con la massima priorità ci sono anche quelle sui contratti a termine. «Fare una moratoria sul costo aggiuntivo dell’1,4% è ragionevole». Se infatti in condizioni normali farlo pagare di più «ha una sua logica, ora sarebbe controproducente. Oggi le aziende non assumono perché spaventate dalla normativa in sé, ma per il costo». Che andrebbe quindi cancellato per provare a sbloccare la situazione.
Il lavoro a termine non è ideale per l’intero sistema economico, perché più insicuri sono i lavoratori, inferiori sono i consumi. Nessuno spende nell’incertezza.
Anche sulle pensioni occorre agire su due direzioni, spiega l’ex ministro: prima di tutto va rifinanziato il fondo istituito dalla legge di stabilità per salvaguardare i lavoratori che da qui al 2015 sarebbero dovuti andare in pensione con le vecchie regole e invece «rischiano di cadere nelle maglie della riforma Fornero».
Per ora infatti sono solo 130 mila i salvaguardati. Basterebbero invece «3 miliardi di euro per consentire a tutti gli esodati e i mobilitati di andare in pensione con le vecchie regole».
Chi ha maturato 35 anni di contributi dovrebbe andare in pensione tra i 62 e i 70 anni con un sistema di incentivi e disincentivi che ha un punto di equilibrio a 66 anni.
Insomma è tutto da rifare, nonostante il tentativo dell’Ocse di salvare almeno l’impianto della riforma perché rappresenta «un primo tentativo di affrontare in modo esaustivo le debolezze del mercato del lavoro». Ora, secondo l’istituto parigino, ulteriori interventi in materia dovrebbero proseguire «sulla scia delle riforme intraprese per riorientare il loro sostegno verso la flexicurity».
Un’analisi che non è condivisa da A.S.La COBAS. «L’Ocse dovrebbe cominciare a guardare la realtà», e dire dov’è che hanno realizzato questa flexsecurity. Non esiste un solo Paese europeo che negli ultimi 10 anni ha implementato la parte di security. Si sono concentrati solo la flexibility.
E il motivo è semplice: È un bel modello ma costa, non è il momento giusto per realizzarlo, soprattutto in Italia perché mancano le risorse