Lo stato di salute dell’Italia raccontato da una prospettiva che sfugge al mero approccio economico. È il tentativo messo a punto dall’Istat e dal Cnel attraverso il Rapporto Benessere Equo e Sostenibile 2013.
Stiamo vivendo una crisi particolarmente profonda e intensa. 500mila occupati in meno dal 2008, una diminuzione che penalizza maggiormente il mezzogiorno che ha perso in termini relativi quasi il triplo delle altre zone del Paese. L’impatto in termini di povertà sarebbe potuto essere molto maggiore se non ci fossero stati due ammortizzatori sociali fondamentali, la cassa integrazione che ha protetto i capofamiglia adulti e la famiglia che ha protetto i giovani. Tradizionalmente le famiglie italiane nel panorama europeo e internazionale sono state caratterizzate da una maggiore propensione al risparmio, da una più diffusa proprietà dell’abitazione e da un minor ricorso all’indebitamento. In questi anni la caduta del reddito disponibile è stata molto forte, il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito e le famiglie sono state costrette a dare fondo ai risparmi per mantenere livelli di consumo non troppo bassi. La propensione al risparmio dell’Italia sta scendendo e avvicinandosi ai livelli dell’Inghilterra tradizionalmente bassi. Nell’arco degli ultimi due anni la grave deprivazione è raddoppiata raggiungendo il 14% della popolazione. Il 25% della popolazione è stato gravemente deprivato in almeno uno dei due ultimi anni. Gravemente deprivate secondo un indicatore europeo sono le persone che presentano 4 sintomi di disagio su 9 tra il non poter riscaldare l’abitazione quanto sarebbe stato necessario, il non potersi permettere un pasto proteico adeguato almeno una volta ogni due giorni, il non potersi permettere una settimana di vacanza, il non avere a disposizione 800 euro per una spesa imprevista e il non potersi permettere per motivi economici l’acquisto di alcuni beni durevoli fondamentali. Negli ultimi due anni sono state proprio le prime quattro dimensioni del disagio a conoscere il maggiore peggioramento.
Dal 2008 i giovani di 15-29 anni hanno conosciuto la diminuzione di più di 700 mila occupati, 7 punti di tasso di occupazione. Il dato è particolarmente critico e mette in seria difficoltà la possibilità della transizione allo stato adulto. Particolarmente colpiti i giovani con titolo di studio più basso, in particolare i diplomati. La laurea sembra proteggere maggiormente i giovani dalla crisi, il calo dell’occupazione dei laureati è minore e soprattutto il divario dei tassi di occupazione dei laureati con l’Europa è cresciuto in misura molto più piccola.
Accanto ai giovani emergono gli immigrati che perdono circa 6 punti di tasso di occupazione e addirittura 10 punti per la componente maschile, soprattutto quella impiegata nelle costruzioni e nell’industria in senso stretto. Più colpite le comunità marocchine e albanesi, meno colpite le romene, filippine e polacche per le quali sono maggiormente dominanti le professioni nei servizi alle famiglie. Le donne nel complesso presentano una crescita dell’occupazione nei quattro anni di 117 mila unità. Dopo la diminuzione avvenuta nel 2009 e la stabilità del 2010 l’occupazione femminile è tornata crescere per tre motivi fondamentali: crescono le occupate tra le ultracinquantenni anche per i provvedimenti in materia pensionistica. Aumentano le lavoratrici immigrate nei servizi alle famiglie. Crescono le occupate nelle famiglie in cui l’uomo ha perso il lavoro o è cassaintegrato specie del Sud. Le differenze di genere nel mercato del lavoro diminuiscono quindi a favore delle donne ma più perché gli uomini sono stati particolarmente colpiti dalla crisi con una forte diminuzione del numero di lavoratori, che per l’aumento dell’occupazione femminile.
La profonda sfiducia nella politica e nelle istituzioni da parte dei cittadini. Il voto medio dato ai partiti è 2,3, al Parlamento poco più di 3 alla magistratura poco più di 4. La sfiducia negli altri è molto alta, solo il 20% si fida delle altre persone escluso parenti e amici, nei paesi nordici si arriva al 60%. In un Paese in cui c’è sfiducia generalizzata è difficile riprendersi. Tra le istituzioni qualche eccezione c’è: per esempio i vigili del fuoco prendono un voto superiore a 8, il che vuol dire che in tanti hanno ricevuto 10. Si tratta di una istituzione che i cittadini percepiscono come molto vicina. I vigili del fuoco mettono in gioco le loro vite, nei momenti più difficili e questo i cittadini lo sanno, per questo danno dei voti alti. Ricostruire le basi per la fiducia nelle istituzioni è fondamentale, è elemento di coesione sociale, ma non possono farlo i cittadini da soli. Sono le istituzioni che devono dare un segnale forte. Se una profonda innovazione attraverserà la politica e le principali istituzioni se ne avvantaggerà tutto il Paese, e ciò darà una rinnovata forza a tutti i cittadini per reagire in positivo a questa crisi così intensa e così lunga. L’Italia nella sua storia ha passato momenti e crisi anche più dure. Ha sempre trovato la strada per uscirne. La troveremo anche adesso avviando un processo di profonda innovazione su tutti i fronti, valorizzando le nostre enormi ricchezze paesaggistiche, culturali etc.. E sviluppando le nostre potenzialità con la creatività e determinazione che ci hanno sempre caratterizzati.