La riforma del lavoro attuata con legge 92/2012 (cd. legge Fornero) introduce una serie di importanti novità in materia di licenziamento.
In particolare la legge in esame ha modificato gli artt. 6 e 7 della L. 604/66 e l’art. 18 L. 300/70, in materia di licenziamenti individuali.
Ha introdotto importanti novità anche rispetto ai frequenti vizi, non solo formali, delle procedure di licenziamento collettivo ai sensi della L. 223/91.
Molte e rilevanti anche le modifiche in tema di processo del lavoro, atteso che il legislatore della riforma ha introdotto un rito “rapido” che trova applicazione relativamente alle controversie aventi ad oggetto licenziamenti, limitatamente alle ipotesi regolate dall’art. 18 L. 300/70, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, ovvero quando il rapporto di lavoro subordinato è, per così dire, deformalizzato o celato sotto altre mentite spoglie.
LICENZIAMENTO IN GENERALE
Per cominciare la legge modifica i termini di decadenza introdotti dalla precedente riforma (Collegato lavoro), in vigore dal 24.11.2010.
Fermo restando il termine di 60 giorni previsto dall’art. 6 L. 604/66 per l’impugnativa stragiudiziale del licenziamento, decorrente dalla data di comunicazione del licenziamento o dei motivi, se non contestuale (possibilità quest’ultima che non è più prevista dalla Riforma Fornero perché la motivazione deve essere contestuale, a pena di inefficacia del recesso) la legge Fornero ha ridotto il termine per il deposito del ricorso giudiziale da 270 a 180 giorni. Il termine decorre dalla data di impugnazione del licenziamento (per il quale, si rammenta, è sufficiente la mera comunicazione del lavoratore al datore di lavoro di impugnare il licenziamento, senza necessariamente indicare i motivi di impugnazione).
Tale nuovo termine di decadenza si applica esclusivamente ai licenziamenti intimati successivamente all’entrata in vigore della legge (ossia al 18 luglio 2012).
Come già detto, il legislatore della riforma prevede espressamente che la comunicazione del licenziamento ne indichi specificamente le motivazioni (art. 1, comma 37 della legge in esame che modifica il comma 2 dell’art. 2 della L. 604/66).
Naturalmente il problema si pone unicamente per il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo, atteso che il licenziamento intimato per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, stante il carattere ontologicamente disciplinare del recesso, deve essere in ogni caso preceduto dalla contestazione dei fatti che giustificano il recesso. Contestazione sempre e comunque richiamata nella lettera di licenziamento.
Viene meno, pertanto, la possibilità per datore di lavoro di comunicare i motivi di licenziamento entro 8 giorni dalla richiesta del lavoratore licenziato (che doveva essere avanzata nei 15 giorni dalla comunicazione del licenziamento).
La motivazione da indicare nella comunicazione del recesso deve consistere nella concreta ragione di carattere organizzativo che ha determinato il licenziamento, non potendo ritenersi sufficiente la generica indicazione di dover far fronte ad esigenze di carattere aziendale o alla mera enunciazione della formula indicata dal legislatore (ragioni di carattere tecnico, organizzativo o produttivo) ed alla mancata possibilità di ricollocare utilmente il lavoratore in altre mansioni.
Il legislatore della riforma ha ritenuto di dover disciplinare l’istituto della REVOCA (art. 1, comma 42 della legge in esame) del licenziamento per la cui disciplina, fino ad oggi, si applicavano i principi generali in materia di negozi giuridici, con notevoli margini d’incertezza nelle ipotesi specifiche e con la difficoltà di distinguere, quoad effectum, tra revoca e rinnovazione del licenziamento.
La legge Fornero prevede la possibilità, per il datore di lavoro, di revocare il recesso entro 15 giorni dalla sua impugnazione (attenzione: il termine decorre dall’impugnazione del lavoratore e non dalla comunicazione del licenziamento!).
A seguito della revoca il rapporto di lavoro risulterà ricostituito, come se mai fosse stato interrotto, con diritto del lavoratore alle retribuzioni non percepite dal licenziamento alla ripresa del servizio.
La norma attribuisce un vero e proprio diritto potestativo in capo al datore di lavoro, il cui esercizio determina la ricostituzione ex tuncdel rapporto di lavoro.
Consegue a tale previsione che il lavoratore non può rifiutare la revoca e, se non riprenderà servizio, sarà considerato come assente ingiustificato e sottoposto a procedimento disciplinare, all’esito del quale il lavoratore potrebbe essere licenziato. Quanto si viene affermando, naturalmente, non è previsto dalla legge Fornero, ma si ricava implicitamente dalle norme di legge e del contratto collettivo che sanzionano l’assenza ingiustificata dal lavoro.
REINTEGRAZIONE ED INDENNITA’.
Il legislatore della riforma è intervenuto sul tema che ha generato, in passato, notevoli incertezze legate a pronunce giurisprudenziali spesso contrastanti in materia di opzione per le quindici mensilità, in luogo della reintegra, conformemente al disposto di cui all’art. 18, V comma, L. 300/70.
Il legislatore risolve il problema degli effetti della cessazione del rapporto, prevedendo che lo scioglimento del rapporto di lavoro si realizza alla data di esercizio dell’opzione per le quindici mensilità (ossia, alla data in cui la comunicazione del lavoratore perviene nella sfera di conoscibilità del datore di lavoro), indipendentemente dal pagamento, da parte del datore di lavoro, della predetta indennità.
RETROATTIVITA’ DEL LICENZIAMENTO INTIMATO ALL’ESITO DI UN PROCEDIMENTO DISCIPLINARE.
Altra novità di rilievo della Riforma riguarda gli effetti del licenziamento intimato all’esito di un procedimento disciplinare.
In tale ipotesi, infatti, il licenziamento produce effetto dal momento in cui il procedimento disciplinare è stato avviato (art. 1, comma 41 della legge in esame).
Sono fatti salvi, tuttavia, gli effetti del preavviso o della relativa indennità sostitutiva (nel caso in cui, naturalmente, il licenziamento non sia stato irrogato per giusta causa ma per giustificato motivo soggettivo) e fatte salve le ipotesi di sospensione derivanti da speciali disposizioni di legge (segnatamente, il testo unico sulla maternità D.lgs 165/2001).
Gli effetti, inoltre, rimangono sospesi in caso di impedimento derivante da infortunio occorso sul lavoro (con esclusione, quindi della malattia del lavoratore che non derivi da infortunio sul lavoro).
In tutte le ipotesi in cui opera la sospensione, il licenziamento avrà efficacia al termine dell’impedimento o della sospensione del rapporto.
Licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo.
Il legislatore della riforma introduce due distinti regimi di tutela per ipotesi di licenziamento per giusta causa o giustificato soggettivo dichiarati illegittimi.
Il primo regime viene in considerazione nelle sole tassative ipotesi in cui il giudice accerti che il fatto (che ha dato causa al licenziamento) non sussiste, ovvero nel caso in cui ritenga che il fatto rientri nelle condotte punibili con una sanzione conservativa, sulla base delle disposizioni del contratto collettivo applicato, ovvero dei codici disciplinari applicabili alla fattispecie in esame.
Nelle suddette ipotesi continua ad applicarsi la tutela reintegratoria, unitamente a quella risarcitoria ma con alcune, importanti novità.
La prima è l’espressa previsione della detraibilità dell’aliunde perceptum(ossia di quanto il lavoratore abbia percepito in conseguenza dello svolgimento di altro rapporto di lavoro presso altro datore di lavoro) e dell’aliunde percipiendum, ossia di quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire attivandosi per reperire un’altra occupazione.
In ogni caso la misura del risarcimento (anche per effetto della detrazione dell’aliunde perceptum) non potrà essere inferiore a 5 mensilità.
La seconda novità è rappresentata della precisazione della misura massima del risarcimento, che non può superare le 12 mensilità, limitando così il rischio, per il datore di lavoro, derivante dai “processi lumaca”.
Alle statuizioni reintegratorie e risarcitorie si aggiunge la condanna al versamento dei contributi dal giorno del licenziamento alla reintegra, maggiorati degli interessi legali ma non della sanzione per omessa o ritardata contribuzione.
Il secondo regime, disciplinato dal nuovo comma 5 dell’art. 18 Stat. Lav., si applica nelle “altre ipotesi” in cui emerge in giudizio che non ci sono gli estremi per la giusta causa o per il giustificato motivo soggettivo, con esclusione delle ipotesi di licenziamento adottato in violazione delle regole procedurali previste dall’art. 7 L. 300/70.
In tal caso il lavoratore avrà diritto alla sola tutela risarcitoria.
La violazione del requisito della tempestività rientra in tale ipotesi, poiché la tempestività viene considerata elemento costitutivo del diritto di recesso, a differenza del requisito della immediatezza della contestazione, che rientra tra le regole procedurali.
Il Giudice non potrà dichiarare la reintegrazione, ma il rapporto dovrà considerarsi risolto con effetto dalla data del licenziamento.
Il datore di lavoro sarà “solo” condannato al pagamento di un’indennità risarcitoria compresa tra un minimo di dodici ed un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita dal lavoratore.
Il terzo regime viene in considerazione nell’ipotesi di violazione delle regole procedurali previste dall’art. 7 L. 300/70.
Alla stregua di quanto vedremo per i vizi procedimentali della legge 223/91, il Giudice che accerti la violazione di regole procedurali deve dichiarare risolto il rapporto con effetto dalla data del licenziamento e condannare il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria compresa tra un minimo di sei ed un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita dal lavoratore.
Naturalmente tale sanzione si applica nella sola ipotesi in cui il Giudice accerti la violazione di regole procedurali, non anche nel caso in cui il lavoratore alleghi ed il Giudice accerti, unitamente alla violazione delle suddette regole, l’insussistenza del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa di licenziamento, trovando in tal caso applicazione la tutela più ampia offerta per tali ipotesi.
LICENZIAMENTO CD. ECONOMICO O PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO.
Il comma 40 dell’art. 1 della legge in esame introduce un complesso meccanismo che il datore di lavoro deve rispettare nelle ipotesi in cui intenda procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Infatti in tale ipotesi è obbligatorio (a pena d’inefficacia del licenziamento) il previo “passaggio” innanzi alla Direzione territoriale del lavoro. Il datore di lavoro è tenuto ad inviare, prima di procedere al licenziamento, una comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro e, per conoscenza, al lavoratore, contenente sia i motivi in base ai quali intende procedere al licenziamento, sia le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato. La Direzione del lavoro è tenuta a convocare le parti nel termine perentorio di 7 giorni dal ricevimento della comunicazione. All’incontro il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante sindacale, ovvero da un avvocato o da un consulente del lavoro. L’incontro è finalizzato all’esame della possibilità di misure alternative al licenziamento. La procedura deve concludersi nei venti giorni, prorogabili qualora le parti, di comune accordo, decidano di proseguire la discussione. Decorso infruttuosamente tale termine, ovvero nel caso di mancato accordo il datore di lavoro può procedere al licenziamento. La procedura può essere sospesa per un periodo di quindi giorni nel caso di documentato impedimento del lavoratore. Decorso tale termine il datore di lavoro può procedere al licenziamento, anche nel caso in cui perduri l’impedimento ed a prescindere dalla natura dell’impedimento.
Il legislatore al punto 8 dell’articolo in esame (art.1, comma 40), ha previsto che il comportamento delle parti desumibile anche dal verbale redatto in sede di commissione provinciale del lavoro e dalla proposta di conciliazione avanzata dalla stessa, è valutato dal Giudice per la determinazione dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 18 L. 300/70. Venendo a trattare più da vicino la tutela improntata dal legislatore in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in queste evenienze, la tutela reintegratoria spetta nelle ipotesi in cui il licenziamento, sprovvisto dei suoi presupposti fondanti, sia intimato a fronte della pretesa inidoneità fisica o psichica del lavoratore, oppure quando il recesso sia stato dettato dal preteso superamento del periodo di comporto, del periodo, cioè, di conservazione del posto di lavoro in costanza di malattia. Ancora, la medesima tutela spetta nelle ipotesi in cui il fatto posto a base del licenziamento si palesi manifestamente insussistente. L’insussistenza manifesta del fatto fondante il licenziamento, infatti, rappresenta il discrimen tra l’applicazione della tutela reale e di quella risarcitoria (compresa fra un minimo di dodici ed un massimo di ventiquattro mensilità della retribuzione globale di fatto percepita dal lavoratore); quest’ultima dovrà applicarsi tutte le volte in cui:
- il fatto posto a base del licenziamento sia semplicemente insussistente (e, quindi, non manifestamente insussistente);
- in tutte le ipotesi in cui, ferma restando la legittimità del presupposto, del fatto, sul quale il recesso è basato, la risoluzione del rapporto di lavoro risulti illegittima.
LE ALTRE IPOTESI DI LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO.
Il legislatore ha differenziato il regime di tutela nell’ipotesi di giustificato motivo oggettivo, a seconda che il licenziamento sia determinato da motivi prettamente economici, in quanto riferito alle scelte organizzative e produttive dell’imprenditore (per le quali si applica la tutela risarcitoria menzionata nel paragrafo che precede), dalle ipotesi in cui il licenziamento riguardi motivi prettamente riferibili alla persona del lavoratore licenziato.
Da quest’ultimo punto di vista, infatti, il nuovo art. 18 della L. 300/70, nell’attuale formulazione, individua il caso specifico del lavoratore licenziato in relazione (o in conseguenza) del suo stato di inidoneità psichica o fisica all’espletamento delle mansioni ed il licenziamento intimato prima della scadenza del periodo di comporto.
In queste ipotesi tipizzate dal legislatore della riforma e limitatamente alle imprese di maggiori dimensioni, continua ad applicarsi la tutela reale (reintegra e risarcimento) ma l’ammontare del risarcimento non potrà superare le dodici mensilità.
Analogo discorso e medesima sanzione per le ipotesi di licenziamento nullo (tra i quali figura anche il licenziamento orale) o discriminatorio (e quelle ad esso parificate, esempio licenziamento intimato in concomitanza del matrimonio). Solo in questo caso non rileva il numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro.
LICENZIAMENTI COLLETTIVI
L’art. 1, commi 44, 45 e 46, della legge n. 92 del 2012 apporta alcune modifiche alla disciplina dei licenziamenti collettivi dettata dalla legge n. 223 del 1991.
ART. 1, COMMA 44
Nella disciplina previgente, l’art. 4, comma 9, della legge n. 223 del 1991, prevedeva che, collocati in mobilità i lavoratori eccedenti e comunicato loro il recesso nel rispetto dei termini di preavviso, il datore di lavoro doveva, contestualmente, comunicare agli uffici pubblici competenti e alle associazioni sindacali l’elenco dei lavoratori collocati in mobilità, con la puntuale indicazione delle modalità con le quali erano stati applicati i criteri di scelta.
La nuova disposizione introdotta dalla riforma prevede che quest’ultima comunicazione debba avvenire non più contestualmente, maentro sette giorni dalla comunicazione dei recessi.
ART. 1, COMMA 45
Nel regime precedente alla riforma, come affermato anche dalla giurisprudenza più recente, i vizi della comunicazione di apertura della procedura di mobilità non potevano essere sanati da successivi accordi sindacali, determinando l’inefficacia dei licenziamenti per riduzione di personale intimati a conclusione della suddetta procedura (cfr., in questo senso, Cass. Civ. sez. lav., 6 aprile 2012, n. 5582).
La nuova disposizione prevede che eventuali vizi della comunicazione di avvio della procedura di mobilità possano essere sanati, ad ogni effetto di legge (e, quindi, anche ai fini della dichiarazione di inefficacia del licenziamento),nell’ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della stessa procedura.
ART. 1, COMMA 46
Questa disposizione modifica il regime sanzionatorio del licenziamento collettivo, distinguendo tre diverse ipotesi:
1) licenziamento intimato senza forma scritta. Come in precedenza, è prevista la tutela della reintegrazione nel posto di lavoro, più il risarcimento del danno, commisurato a tutte le retribuzione non percepite dal giorno del licenziamento fino all’effettiva reintegrazione, oltre al versamento dei contributi previdenziali;
2) licenziamento intimato in violazione delle procedure previste dalla legge. Non è più prevista la tutela della reintegrazione nel posto di lavoro (come in precedenza), ma soltanto una indennità risarcitoria omnicomprensiva tra un minino di 12 e un massimo 24 mensilità (determinata, con obbligo di specifica motivazione da parte del giudice, tenendo conto dell’anzianità del lavoratore, del numero di dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti);
3) licenziamento per violazione dei criteri di scelta. Come in precedenza, è prevista la tutela della reintegrazione nel posto di lavoro, più il risarcimento del danno e il versamento dei contributi previdenziali. Il risarcimento del danno, però, non può superare, in ogni caso, 12 mensilità di retribuzione.
Infine, la nuova disposizione dispone espressamente l’applicabilità anche ai licenziamenti collettivi del nuovo regime di impugnazione giudiziale del licenziamento dettato dall’art. 32 della legge n. 183 del 2010. Pertanto, anche nell’ipotesi di licenziamento collettivo, il lavoratore deve depositare il ricorso giudiziale entro il termine di decadenza di 180 giorni (non più 270, come in precedenza) dall’impugnazione stragiudiziale (che deve sempre avvenire, anch’essa a pena di decadenza, entro il termine di 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento).
IL NUOVO RITO IN MATERIA DI LICENZIAMENTO.
Come anticipato, il legislatore della riforma ha introdotto un rito speciale, disciplinato all’art. 1, commi 48 e sgg. della legge in esame, sotto la rubrica “Tutela urgente” che trova applicazione relativamente alle controversie aventi ad oggetto licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 L. 300/70, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro.
Il lavoratore che ritiene di essere stato illegittimamente licenziato può proporre ricorso al Tribunale del lavoro. Il ricorso deve avere ad oggetto solo il licenziamento, quindi non potrà contenere domande diverse ed ulteriori (ad es. una domanda di risarcimento danni da demansionamento, anche se collegata con il licenziamento).
Il Giudice fissa l’udienza entro 30 giorni dal deposito del ricorso che deve essere notificato alla controparte (datore di lavoro).
Il Giudice, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno all’istruzione della causa e provvede, con ordinanza immediatamente esecutiva, all’accoglimento o al rigetto della domanda.
L’efficacia esecutiva del provvedimento assunto dal Giudice al termine di tale fase non può essere sospesa o revocata fino alla pronuncia della sentenza con cui il Giudice definisce il giudizio instaurato ai sensi del successivo articolo.
Comunque, entro 30 giorni dall’emissione dell’ordinanza di accoglimento o di rigetto, la parte soccombente può proporre opposizione.
Il Giudice dell’opposizione fissa l’udienza di discussione entro 60 giorni, dando termine alla parte opposta di costituire in giudizio 10 giorni prima dell’udienza.
Se l’opposto intende chiamare un terzo in causa, a pena di decadenza, deve farne dichiarazione nella memoria difensiva. In tal caso il giudice fissa una nuova udienza entro i successivi sessanta giorni, e dispone che siano notificati al terzo, ad opera delle parti, il provvedimento nonché il ricorso introduttivo e l’atto di costituzione dell’opposto.
All’udienza, il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione ammissibili e rilevanti richiesti dalle parti o disposti d’ufficio e provvede,con sentenza, all’accoglimento o al rigetto della domanda.
La sentenza, completa di motivazione, deve esseredepositata in cancelleria entro dieci giorni dall’udienza di discussione.
La sentenza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Contro tale sentenza è ammesso reclamo davanti alla Corte d’appello entro trenta giorni dalla comunicazione, o dalla notificazione se anteriore.
In tale fase non sono ammessi nuovi mezzi di prova o documenti, salvo che il collegio, anche d’ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione ovvero la parte dimostri di non aver potuto proporli in primo grado per causa ad essa non imputabile.
La Corte d’appello fissa con decreto l’udienza di discussione nei successivi sessanta giorni e, se ricorrono gravi motivi, alla prima udienza può sospendere l’efficacia della sentenza reclamata.
Lasentenza della Corte d’appello, completa di motivazione, deve essere depositata in cancelleria entro dieci giorni dall’udienza di discussione.
Ilricorso per cassazione contro la sentenza deve essere proposto, a pena di decadenza,entro sessanta giorni dalla comunicazione della stessa, o dalla notificazione se anteriore. La Corte di Cassazione deve fissare l’udienza di discussione non oltre sei mesi dalla proposizione del ricorso.
E’ ancora controverso se tale nuovo rito sia l’unico applicabile alle controversie in materia d’impugnazione del licenziamento, al momento dell’entrata in vigore della legge, ovvero se sia in facoltà della parte optare per tale rito o per quello disciplinato dagli artt. 414 e sgg. c.p.c..
A parere di chi scrive imporre al lavoratore (o al datore di lavoro) un rito sommario, precludendo la scelta per la trattazione ordinaria, con il ricorso ex art. 414 c.p.c. e le regole dell’istruzione probatoria piena, appare in contrasto con i principi generali del processo civile che consentono l’alternativa tra la trattazione con il rito speciale e con quello ordinario ed imporrebbe a chi intende proporre più domande, oltre al licenziamento, nella stessa causa e contro la stessa parte, di separarle in diversi giudizi, trattate con riti diversi.