E’ un agosto molto difficile ed amaro per le classi lavoratrici .
In primo luogo per gli avvenimenti ogni giorno più tragici ed inquietanti che emergono dallo scacchiere internazionale, segnatamente quello della Palestina, dove la tragedia del popolo palestinese si consuma ogni giorno senza fine nell’indifferenza e nel cinismo dei governi occidentali (e non solo), compreso quello italiano.
La recessione economica e le risposte di Renzi e Confindustria.
Partiamo dai recenti dati economici e dalla certificazione dell’Istat che il nostro paese è in recessione; non solo non c’è la ripresa tante volte promessa grazie ai “sacrifici” fatti, ma il PIL arretra ancora, fotografando una situazione materiale, ben conosciuta dalle famiglie e dai lavoratori alle prese con salari e stipendi sempre più falcidiati, con l’incubo della cassa integrazione, della chiusura delle aziende, del licenziamento.
Chi mai avrebbe potuto pensare seriamente che in questa situazione potesse esserci un forte rilancio dei consumi e dell’occupazione grazie ai mirabolanti 80 euro di Renzi? Questi si sono rivelati per quello che erano: una elemosina propagandistica, volta a rendere credibile il Presidente del Consiglio che, come e più di Berlusconi, si regge su promesse fasulle e sull’immagine dell’uomo salvifico, per coprire le tante malefatte che sta compiendo.
Tutti poi fanno finta di dimenticarsi dell’enorme rapina che negli ultimi 15 anni c’è stata ai danni dei salari e degli stipendi per l’inflazione mai recuperata, lo svilimento dei contratti, il blocco della contrattazione nel pubblico impiego, che hanno sottratto ogni anno alle lavoratrici e ai lavoratori 4-5 mila euro, per non parlare dei miliardi persi per effetto della cassa integrazione e del venir meno tout court del reddito per coloro che hanno perso il posto di lavoro.
Ancor più tutti si dimenticano dei 15 miliardi e più sottratti alla sanità, e della cifra altrettanto ragguardevole sottratta agli Enti locali e di tutti gli altri tagli alla spesa pubblica con le varie manovre economiche prodotte negli ultimi anni: sono tutte risorse sottratte ai servizi, agli stipendi delle lavoratrici dei lavoratori e quindi ai consumi della popolazione, producendo una dinamica recessiva.
In realtà queste risorse o, come loro dicono, “risparmi” sono stati trasferiti altrove a vantaggio delle rendite finanziarie dei possessori sia italiani che esteri.
Ma lasciamo parlare il Sole 24 ore attraverso la penna, un pochino ermetica, ma comprensibile, di Alessandro Zeli dell’8 di agosto: “Le politiche di contenimento della spesa sono pertanto sempre più finalizzate al servizio del debito creando un circuito redistributivo che va dal contribuente (o dal beneficiario dei trasferimenti statali – pensionati, fruitori dei servizi sociali, ndr -) verso i creditori (nazionali ed esteri) dello Stato, ossia il sistema finanziario……. Le dinamiche comparate della spesa primaria – quella al netto degli interessi del debito, ndr. – mettono ancor più in evidenza il divaricamento in favore di queste ultime. La spesa primaria e, quindi, tutte le spese dello Stato per la sua organizzazione e le spese per i trasferimenti alle famiglie (pensioni, sanità, welfare) per la prima volta, negli ultimi tre anni diminuiscono.”
Chiaro chi paga!
Quale è stata la reazione dei potenti, governo e Confindustria ai dati dell’Istat?
Forse un ripensamento sulle politiche delle austerità? Forse qualche dubbio su una politica redistributiva dal basso verso l’alto?
Niente di tutto questo. Anzi i dati negativi sono stati usati per ribadire che occorre andare nella stessa direzione, ma ancora più in fretta. Da Renzi alla Confindustria, dai giornali alla televisione, tutti insieme a spiegarci che la causa della recessione consiste nel fatto che non sono state fatte abbastanza “riforme”, termine perfetto e positivo per illudere il popolo che ci sarà un mutamento favorevole e per nascondere il suo vero significato di controriforma liberista e di distruzione dei diritti del lavoro e sociali.
Non c’è scritto da nessuna parte che questo stato di cose non possa cambiare se cominciano a generalizzarsi le mobilitazioni dei settori più combattivi e disponibili, se appare che nel nostro paese sono ancora in tanti a non accettare l’involuzione sociale e democratica, a guardare anche fuori nel nostro paese per sostenere le lotte degli oppressi, e che molti sono disposti a tornare nelle piazze ed anche a scioperare. Vale la pena di provarci.