Lo dice la Costituzione: ogni lavoratore ha diritto a ricevere una «retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa».
Parole che vengono quotidianamente calpestate nella realtà di tutti i giorni, fatta di milioni di italiani che non hanno lavoro, o ce l’hanno ma sottopagato.
A farne le spese sono, ormai si sa, principalmente le nuove generazioni: «Tra i soggetti deboli del nostro mercato del lavoro i giovani sono di gran lunga quelli messi peggio, più delle stesse donne e dei lavoratori in età avanzata»
Essi rappresentano il punto più critico per una buona coesione sociale. Nel mese di luglio 2014si è toccato l’indice di disoccupazione più alto degli ultimi vent’anni per i lavoratori compresi tra i 15 e i 24 anni: il 39,1 per cento era senza lavoro. E più si va verso sud più le cose peggiorano». E i giovani non sono affatto choosy come qualcuno li ha dipinti tempo fa’, ma disperati dalla pochezza delle prospettive di carriera: «Il contesto giovanile in generale appare sempre più caratterizzato da basse retribuzioni, da scarsa valorizzazione del titolo di studio e da un riconoscimento del merito occasionale, se non casuale.
Quello che emerge con forza è che i giovani non sono tanto schizzinosi (choosy), secondo la ormai arcinota formula utilizzata dall’ex ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ma sembrano tutto sommato disponibili a molto, se non a tutto, pur di trovare un lavoro. Le aspettative cambiano anche in relazione al titolo di studio posseduto: più è alto, maggiori sono le attese». E più alto è il punto di partenza della caduta delle aspettative e delle speranze.