Licenziamento per motivazione economica

Il licenziamento per motivazione economica è l’atto con il quale il datore di lavoro interrompe unilateralmente (cioè senza accordo da parte del lavoratore) il rapporto di lavoro con il dipendente per motivi che non riguardano il comportamento di quest’ultimo, ma per ragioni che riguardano la riorganizzazione aziendale. Viene anche definito licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La disciplina è stata profondamente modificata dalla c.d. Riforma Fornero attuata con legge n. 92 del 2012 e, successivamente, dal c.d. Jobs Act.Licenziamento per motivazione economica

 

Il licenziamento è l’atto unilaterale del datore di lavoro che – senza che vi sia il consenso del dipendente – interrompe il rapporto di lavoro. Il licenziamento può costituire una sanzione contro i comportamenti del lavoratore che spezzano il rapporto di fiducia con l’imprenditore (ed in questo caso si parla di licenziamento disciplinare oppure può essere dovuto a ragioni di riorganizzazione aziendale).
In quest’ultimo caso si parla di licenziamento per motivazioni economiche o di licenziamento per giustificato motivo oggettivo che prescinde dal comportamento più o meno diligente del dipendente licenziato in quanto le ragioni della scelta del datore di lavoro sono puramente imprenditoriali e organizzative.
Si pensi al caso in cui l’azienda debba fronteggiare una profonda crisi e debba ridurre le proprie aree operative, dismettendo dei reparti o dei servizi che sono diventati troppo costosi.

 

Perché il datore di lavoro possa licenziare per motivazioni economiche è necessario innanzitutto che vi siano delle ragioni oggettive che legittimano il ricorso alla riduzione del personale. Queste ragioni vengono appunto definite: giustificato motivo oggettivo.
Questa ipotesi si verifica quando per oggettive ragioni di riorganizzazione aziendale, il datore di lavoro è costretto a privarsi di alcuni tra i suoi dipendenti che non può utilmente reimpiegare in altri comparti della sua attività.
In altre parole perchè sia possibile procedere al licenziamento non è sufficiente che il datore di lavoro decida di riorganizzare la produzione perché occorre anche che la figura professionale licenziata non sia più utile all’interno dell’azienda. Diversamente l’imprenditore ha l’obbligo di ricollocare il lavoratore in un’altra posizione: il c.d. obbligo di ripescaggio.

 

Il licenziamento fondato su ragioni economiche (come abbiamo visto al paragrafo precedente) si fonda su due presupposti:

  • la decisione del datore di lavoro di riorganizzare la produzione
  • l’impossibilità di riutilizzare il lavoratore licenziato ricollocandolo altrove.

Il lavoratore non può contestare la scelta dell’imprenditore di scegliere i modi più efficaci per condurre l’impresa. Egli può però contestare al datore di lavoro di non averlo riutilizzato.
Si pensi, ad esempio, al caso di un dipendente licenziato per una motivazione economica quando l’impresa, pochi giorni dopo, procede all’assunzione di una nuova figura professionale assolutamente analoga.
Anche il licenziamento per motivazione economica va comunicato attraverso uno scritto che deve contenere l’indicazione delle ragioni proprio perché il lavoratore possa contestarlo.
Quando il lavoratore ritiene che il licenziamento sia ingiusto è tenuto ad impugnarlo entro 60 giorni. Il termine per impugnare si calcola a partire:

  • dal momento in cui il lavoratore riceve la comunicazione del licenziamento (se questa contiene anche le motivazioni della decisione del datore di lavoro)
  • dal momento in cui il lavoratore riceve la comunicazione dei motivi di licenziamento (se all’atto del licenziamento questi motivi non erano stati indicati)

Entro il termine di sessanta giorni, in altre parole, il lavoratore deve inviare all’imprenditore una comunicazione (in qualunque forma, anche una semplice lettera raccomandata) con la quale rende noto che intende contestare il licenziamento.
Nei successivi 180 giorni il lavoratore deve:

  • depositare il ricorso nella cancelleria del Tribunale impugnando davanti al Giudice il licenziamento
  • comunicare al datore di lavoro la richiesta di un tentativo di conciliazione presso la direzione provinciale del lavoro oppure una richiesta di arbitrato.

Se questo termine non viene rispettato l’impugnazione del licenziamento non può essere presa in considerazione dal Giudice e si considera inefficace.
Se invece viene richiesta una conciliazione o un arbitrato e il datore di lavoro li rifiuta oppure, pur avendoli accettati, non si riesce a raggiungere un accordo, il lavoratore deve depositare il ricorso nella cancelleria del Tribunale entro 60 giorni.

Il licenziamento illegittimoTorna su

La riforma Fornero, prima, e il c.d. Jobs Act poi, hanno profondamente modificato le sanzioni per il licenziamento per motivazione economica effettuato illegittimamente.
In origine il trattamento era identico a quello previsto per il licenziamento disciplinare.
Oggi, invece, la regolamentazione è diversificata in linea di massima in relazione al momento in cui è stato stipulato il contratto.

a) Disciplina per i licenziamenti comminati a lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del c.d Jobs Act)

In relazione a queste posizioni, se il Giudice ritiene fondata la contestazione e accerta che non sussistevano i motivi previsti dalla legge per procedere al licenziamento, riconoscerà al lavoratore una somma di denaro (a titolo di indennità) che può variare da un minimo di 12 mensilità ad un massimo di 24 mensilità. In questo caso però il rapporto di lavoro si interromperà pur essendo illegittimo il licenziamento.
Se però le ragioni alla base del licenziamento risultano manifestamente infondate (cioè, per dirla in altre parole, se il torto del datore di lavoro è evidente) il Giudice può anche ordinare al datore di lavoro di riprendere alle sue dipendenze il lavoratore.

b) Disciplina introdotta dal c.d. Jobs Act a partire dal 7 marzo 2015

La disciplina del c.d. Jobs Act si applica tendenzialmente solo ai licenziamenti a carico di lavoratori con qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti a partire dal 7 marzo 2015 con contratto di lavoro a tempo indeterminato.
In questo caso, se il licenziamento è illegittimo il giudice potrà soltanto condannare il datore di lavoro a pagare al lavoratore ingiustamente licenziato una indennità pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio.
L’indennità così calcolata non potrà mai essere inferiore a 4 mensilità nè superiore a 24 mensilità e non sarà assoggettata a contribuzione previdenziale.
A differenza di quanto accade nell’ipotesi di licenziamento disciplinare, invece, nel caso di licenziamento per motivazione economica il Giudice non ha il potere di disporre la reintegra.
Queste regole valgono esclusivamente nel caso in cui il datore di lavoro che procede al licenziamento occupi più di quindici dipendenti (se imprenditore agricolo più di cinque dipendenti) in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo e, in ogni caso, qualora occupi complessivamente più di sessanta dipendenti.
Se il datore di lavoro non possiede questi requisiti (c.d. requisiti dimensionali) le indennità risarcitorie sono ridotte della metà e non possono comunque superare le sei mensilità.

Revoca del licenziamento e offerta conciliativaTorna su

Il c.d Jobs Act (che ricordiamo si applica tendenzialmente solo ai licenziamenti a carico di lavoratori con qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti a partire dal 7 marzo 2015 con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato) introduce una serie di strumenti per il datore di lavoro finalizzati ad evitare il giudizio di impugnazione del licenziamento.
Egli, infatti, può procedere alla revoca del licenziamento entro 15 giorni dalla comunicazione dell’impugnazione del licenziamento stesso.
In questo caso il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza interruzione e il lavoratore ha diritto a ricevere la retribuzione nel frattempo maturata.
Il datore di lavoro, può alternativamente offrire al lavoratore (nel termine di 60 giorni previsto per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento) una somma (che non va a costituire reddito imponibile e non è assoggettata a contribuzione) pari ad una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del T.F.R. per ogni anno di servizio.
La somma offerta:

  • non potrà mai essere inferiore a 2 mensilità e superiore a 18 mensilità
  • dovrà essere corrisposta mediante consegna di un assegno circolare

 

Se il lavoratore accetta l’offerta il rapporto di lavoro si intende estinto alla data del licenziamento e l’impugnazione rinunciata (anche se nel frattempo già proposta).

 

Irretroattività del c.d. Jobs ActTorna su

L’irretroattività del D.Lgs. 23/2015 è solo parziale e ciò significa che in determinate condizioni le norme che esso prevede possono applicarsi anche ai contratti di lavoro stipulati prima della sua entrata in vigore.
Infatti, nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente al 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del decreto) vengano ad occupare più di quindici dipendenti (se imprenditore agricolo più di cinque dipendenti) in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo e, in ogni caso qualora venga ad occupare complessivamente più di sessanta dipendenti (come indicato dall’art. 18, commi 8 e 9, dello Statuto dei Lavoratori) il licenziamento dei lavoratori, anche se assunti precedentemente al 7 marzo 2015, verrà disciplinato dalle norme contenute nel Jobs Act. (D.Lgs n. 23/2015).

 

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