Potremmo dire che lo Statuto dei lavoratori è una delle grandi leggi di applicazione della Costituzione, non a caso viene definita legge di rango costituzionale. È la legge che traduce i valori contenuti nella Costituzione: i principi di libertà sindacale e di associazione, il lavoro come uguaglianza e quindi fondato sui diritti, per arrivare all’Articolo 1 ‘L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
Non a caso lo Statuto fu salutato come l’ingresso della Costituzione dentro le fabbriche, della cittadinanza dentro i luoghi di lavoro. Questo ingresso si è realizzato attraverso quella fondamentale scelta che di fronte alla disparità tra i due contraenti, l’impresa e il lavoratore, la legge deve intervenire a sostenere il soggetto più debole. Oggi ne festeggiamo il quarantacinquesimo anniversario. Per qualcuno 45 anni sono troppi anni e quindi va cambiato. In realtà, sono il segno di quanto da poco tempo la cittadinanza è entrata a pieno titolo nei luoghi di lavoro e – quando il tempo è poco – c’è sempre bisogno di rafforzare quell’insieme di diritti e di renderli universali.
Per oltre 40 anni l’impianto statutario ha retto alle profonde trasformazioni della società e dell’impresa e continua a costituire uno strumento di tutela giuridica in qualche modo imprescindibile nell’ambito del diritto del lavoro. E però, anche per motivi anagrafici, lo Statuto ha un punto debole: non contempla le tante forme della precarietà che abbiamo visto affermarsi nell’ultimo quindicennio.
Infatti. Mentre il governo Renzi si esercita in una logica che è quella di rendere il lavoro sempre più una merce, sempre meno libero, il punto da affrontare, e con il quale noi ci misuriamo con la nostra proposta di un Nuovo Statuto dei lavoratori e delle lavoratrici, è semplice e complesso insieme. Si tratta di far sì che quei diritti, definiti come universali nel 1970, tornino ad essere universali in un mondo del lavoro che è assolutamente cambiato. È cambiato per le forme di precarietà come è cambiato anche per il diverso rapporto che c’è tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. C’è la necessità di ricostruire un corpo di diritti che siano effettivamente universali, ovvero in capo al lavoratore e non alla specifica condizione di lavoro. Per intenderci: se sei un lavoratore, devi avere la possibilità di non essere discriminato in base alla tua opinione, devi avere le tutele rispetto alla maternità, alla malattia, al riposo, alla sicurezza sul lavoro. Ci sono, cioè, degli elementi che determinano la condizione di lavoro, e per renderla effettivamente positiva devono essere, oggi come ieri, davvero universali. Ed è esattamente mantenendo lo spirito originario dello Statuto dei lavoratori, cioè la condizione di libertà e dignità dei lavoratori, che oggi occorre estendere quel corpo di diritti per allargarlo e garantirlo a tutti. Il conflitto che continuiamo a avere con il governo riguarda proprio l’idea che non basti un lavoro purchessia. Noi pensiamo al lavoro con i diritti, al lavoro che assicuri la dignità, riconosca la professionalità delle persone, quel lavoro che deve potersi organizzare collettivamente per contrattare nei confronti del datore di lavoro. Quel lavoro che ha bisogno di professionalizzarsi sempre di più, non di essere schiavizzato.