UDINE. Non percepiva il trattamento economico della Cassa integrazione guadagni straordinaria dallo scorso settembre. Da quando, cioè, l’Inps ne aveva interrotto l’erogazione, a seguito della mancata comunicazione dell’avvio di una nuova attività – un contratto a chiamata per un totale di 84 ore – con un altro datore di lavoro. Un obbligo al quale l’Istituto previdenziale riteneva che il lavoratore fosse ancora vincolato e che il tribunale civile di Udine ha invece dichiarato superato
Stop all’indennità. Ammesso alla Cigs dopo la chiusura del ramo d’azienda dell’autotrasporto della ditta di cui era stato a lungo dipendente, un friulano non ancora 50enne aveva cercato e trovato, come tanti colleghi nella sua stessa situazione di disagio economico, alcune occupazioni a tempo determinato che gli permettessero di arrotondare quel che restava dell’originario stipendio. Con l’ultimo contratto a chiamata, però, conscio della comunicazione telematica effettuata già dal suo nuovo datore di lavoro, aveva ritenuto superfluo informare a propria volta l’Inps.
Due tesi a confronto. Ancorato al vecchio ordinamento (legge n.160/1988), l’Istituto previdenziale aveva invece ravvisato in quella mancata comunicazione un’inadempienza del cassintegrato e lo aveva quindi dichiarato decaduto dal diritto al trattamento di integrazione salariale. In pieno disaccordo, dunque, con la nuova interpretazione del ministero del Lavoro sulla cosiddetta “pluriefficacia” delle “Co”, le Comunicazioni di assunzione spettanti ai datori di lavoro (interpello n.19/2012).
L’inizio della disputa. Da qui, il ricorso proposto dal cassintegrato al giudice del lavoro per ottenere l’immediato ripristino della Cgis. Richiesta che il magistrato aveva tuttavia rigettato, ritenendo il lavoratore «in ogni caso» tenuto a informare l’Inps, in virtù della «responsabilizzazione personale» che la norma violata vorrebbe imporgli. Nel resistere, l’Istituto aveva a sua volta osservato come «l’obbligo generale di comunicazione in capo al datore di lavoro avesse finalità diverse da quello posto a carico del lavoratore».
Le ragioni del lavoratore. Tutt’altro che rassegnato, l’autista aveva continuato la propria battaglia e aveva presentato reclamo davanti al tribunale civile. Data per pacifica la mancata comunicazione, il suo difensore aveva appunto insistito sull’abrogazione di tale obbligo e, presa a riferimento la legge n.296/2006 sulla “comunicazione preventiva” a carico dei datori, ricordato come questo avesse sostituito tutti gli altri obblighi di comunicazione «anche per quanto riguarda soggetti diversi dal datore di lavoro». Di fatto esonerandolo, insomma, da tale adempimento.
Reclamo fondato. Nell’accogliere la tesi del ricorrente, il tribunale ha definito l’interpretazione dell’Inps «non accettabile» e «non imposta dal dato normativo». Anche perchè, «il meccanismo della comunicazione unica e pluriefficace ha funzionato perfettamente, nè l’Inps ha subìto qualsivoglia pregiudizio concreto». In altre parole, «la grave sanzione sarebbe applicata a un’omissione priva di rilevanza pratica per la tutela degli interessi pubblici».
Con questa sentenza, unica nel suo genere ora tante altre persone, in regione e nel resto d’Italia, potranno ricominciare a sperare nel ripristino dell’erogazione e nella restituzione delle indennità.