Le cronache quotidiane sono ricche di eventi negativi, dalle tragedie dei migranti che muoiono a centinaia nelle acque dei mari italiani, a quanti vengono stroncati sulle strade, vittime di automobilisti in stato di ubriachezza, alle famiglie distrutte per i raptus di questo o quell’altro coniuge. È come se un’ombra cupa sia scesa su una umanità che non riesce a trovare un percorso “umano”, è come se l’esistenza concessa ad ogni essere avesse perduto i suoi significati fondamentali. Ma oggi una “vita” non vale proprio niente?
Nel fragore delle continue tragedie di molti, si finisce con il perdere anche il concetto del “singolo”, dei drammi di “un” individuo, là dove si è costretti ad assistere ed a “conoscere” avvenimenti che travolgono moltitudini. E non parliamo delle guerre alle quali nessuno pone un “Alt!”; non parliamo della “fame” che miete gli innocenti; non parliamo degli sprechi, dei facili arricchimenti, non parliamo di tante e tante altre cose che non vengono alla luce.
In questo quadro disarmante e disumano la morte per crepacuore di una persona che ha perduto il lavoro non fa notizia, passa sotto silenzio, un “silenzio tombale” che neppure l’udito più sensibile può raccogliere.
Anche a noi viene difficile raccontare della tragedia di “una” sola persona, quando siamo costretti dalla nostra coscienza ad ascoltare il silenzio assordante di chi ha lasciato la propria vita nel tentativo di realizzare una speranza. Eppure è “dovere” parlare, quando è possibile, anche delle tragedie che può vivere un singolo disperato.
E noi facciamo nome e cognome e raccontiamo la storia di un “uno” che, volente o nolente, faceva parte di questa Umanità alla quale tutti apparteniamo.
Si chiamava Paolo Pontone e aveva compiuto da poco i 56 anni allorché, pochi giorni addietro, è stato colpito da un infarto ed è deceduto.
Paolo era un dipendente della CMA SRL di Cassino, azienda metalmeccanica che di recente è fallita è ha licenziato tutti i dipendenti.
La sua vita è stata stroncata da un infarto. “Anche se è difficile stabilire un nesso tra la comunicazione del licenziamento e la morte di Paolo – non riusciamo ad immaginare quanto dolore possa avergli provocato la notizia che ormai non c’era più lavoro.
Una storia come tante altre che rimangono ignorate. Una storia che è meglio dimenticare. Oppure no?