Secondo i dati Istat , il numero dei disoccupati manifesta un forte aumento su base tendenziale: +30,6%, pari a 581.000 unità.
L’incremento, diffuso su tutto il territorio nazionale, interessa sia gli uomini che le donne ed in oltre la metà dei casi persone con almeno 35 anni. La crescita è dovuta, in un caso su due, a quanti hanno perso la precedente occupazione. A questi si aggiunge l’esercito di giovani in cerca di lavoro: il tasso di disoccupazione dei 15-24enni sale dal 26,5% del terzo trimestre 2011 al 32,1%, con un picco del 43,2% per le giovani donne del Mezzogiorno. La flessione in Italia è di intensità doppia rispetto all’eurozona.
Su questo scenario preoccupante si innesta la riforma del mercato del lavoro, voluta dal Ministro Elsa Fornero. Numerosi giuristi, oltreché gli estensori del Parere della Commissione per la legislazione relativo al disegno di legge, riscontrano nel testo legislativo numerosi difetti tecnici che ne rendono ostica la comprensione anche agli stessi addetti ai lavori, tanto da definirla “legge malfatta”.
La riforma Fornero, oltre al malcontento dei lavoratori e di chi cerca lavoro per la prima volta o per reinserirsi nel mercato, porta con sé strascichi anche a livello giudiziario.
Il sistema di impugnazione dei licenziamenti previsto dalla riforma secondo molti analisti causerà un inevitabile intasamento delle sezioni lavoro dei tribunali, già oberate di lavoro a causa della crisi, che ha portato con sé aumento di circa il 30/40% – in alcuni tribunali anzi sfiora già il 60/70% – delle cause di lavoro ed in particolare quelle di impugnazione dei licenziamenti. Per il 2013 si stima addirittura un aumento del contenzioso lavoristico del 200%.
Infatti, il nuovo processo con termini “compressi”, voluto dalla riforma Fornero, dovrebbe costituire una corsia preferenziale per alcuni tipi di licenziamenti, ma rischia di stoppare tutte le altre cause di lavoro: con l’inevitabile risultato di aumentare il già significativo ingorgo presente nei tribunali.
I giudici delle sezioni lavoro stanno già manifestando la loro preoccupazione circa il fatto che le nuove norme introdotte con la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori rallenteranno ulteriormente il risolversi delle altre cause di lavoro, portando di fatto a un ingolfamento del sistema.
A questi aspetti di carattere meramente procedimentale, che per altro hanno ovviamente dei risvolti molto pratici nella vita delle persone, si aggiunge tutta la questione relativa al contenuto precettivo della riforma Fornero: un testo a tratti confuso, difficile da interpretare, non del tutto armonizzato con il resto del sistema e che lascia spazio a innumerevoli dubbi interpretativi, con la conseguente inevitabile incertezza che emergerà nelle applicazioni giurisprudenziali dei mesi a venire.
Se l’incertezza interpretativa è un problema per i giuristi, si può immaginare con quali ansie, dubbi e confusione pensano i lavoratori alla riforma, della quale difficilmente sono in grado di cogliere i risvolti e la portata. Da questa situazione di confusione e di emergenza sorgono le domande che con maggiore frequenza vengono sollevate dai lavoratori: esiste ancora il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro? Relativamente a quali fattispecie la reintegrazione trova applicazione? A quanto ammonta, dopo la riforma, il risarcimento del danno da illegittimo licenziamento? Tale risarcimento sostituisce la reintegrazione nel posto di lavoro o si aggiunge alla stessa? La forma d’irrogazione del recesso è rimasta invariata? Quali saranno le modalità d’impugnazione del licenziamento? In cosa consiste il nuovo rito processuale introdotto nel giudizio di opposizione avverso il recesso ritenuto illegittimo?