In 128 comuni della penisola italiana l’acqua pubblica non è potabile, in quanto i limiti di arsenico superano di gran lunga i 10 microgrammi per litro fissati dalla UE (in alcuni casi si arriva anche a 50 microgrammi). Per l’arsenico, le prove scientifiche dei documenti indicati negli orientamenti dell’Organizzazione mondiale della sanità e del comitato scientifico dei rischi sanitari e ambientali consentono deroghe temporanee fino a 20 μg/l, mentre valori di 30, 40 e 50 μg/l determinano rischi sanitari superiori, in particolare talune forme di cancro.
Ma invece di adottare una politica di prevenzione o di azione programmata, si sventola l’ennesima emergenza. Inoltre, si contribuisce a diffondere tra la cittadinanza la sensazione che l’acqua dei rubinetti non è buona e si incentivano forme di spreco e di abuso di acqua minerale, che numerosi esperti hanno indicato come meno controllata e sicura dell’acqua pubblica. Nello Stivale il 54% delle persone ricorre all’acqua in bottiglia e al 20% alle caraffe filtranti, lasciando l’acqua comunale relegata solo alle operazioni di pulizia.
L’acqua minerale continua a non aver rivali sul mercato dell’alimentazione e della cucina italiana, sebbene in realtà la gran parte del territorio della nazione non presenti particolari controindicazioni nel ricorrere a quella del rubinetto. Nel 2011 gli italiani hanno consumato 196 litri di acqua in bottiglia per abitante. Il dato è stato comunicato in occasione del World Water Forum di Marsiglia e vale, per l’Italia, il primo posto in Europa e il terzo nel mondo per consumo di minerale, dietro Arabia Saudita e Messico. Il Gruppo Sanpellegrino, azienda leader in Italia nel settore beverage, ha chiuso il 2012 con un giro d’affari di 766 milioni di euro in crescita dell’8,3% rispetto all’anno precedente.
A.S.La COBAS dopo aver denunciato inutilmente quanto avviene al ministro della Salute , ha denunciato inutilmente la questione anche all’Istituto Superiore di Sanità, chiedendo le dimissioni dei suoi vertici: “sulla presenza di arsenico nelle acque hanno mentito per anni e continuano a farlo, nascondendo la verità.
Il 31 dicembre 2012 è scaduta la terza deroga europea che consentiva di erogare acqua con livelli di arsenico superiori a dieci microgrammi per litro: il provvedimento della Commissione europea riguardava 91 Comuni del Lazio tra le provincie di Roma, Viterbo e Latina, 8 Comuni in Lombardia, 10 in Trentino-Alto Adige e 19 in Toscana.
Tra Reggio Emilia e Piacenza esistono casette di raccolta dell’acqua pubblica come durante la guerra perchè quella che arriva in casa è troppo inquinata. In Toscana, nei comuni di Cecina e Montescudaio si trovavano la lavanderia industriale Rapida, chiusa nel 1983, e la conceria Massini, nel 1996: nell’ex conceria vennero trovati 80 fusti di materiale mal stoccato con alta concentrazione di Tce e Pce e per l’azienda partì la denuncia di avvelenamento delle acque ad uso idropotabile. Ma le indagini, almeno all’inizio, non furono approfondite e l’area non venne messa sotto sequestro. Così anche se ci furono dei processi le due aziende non furono mai condannate.
Nei comuni del Lazio, i più colpiti dall’emergenza arsenico nell’acqua, a rischio è pure la catena alimentare. Concentrazioni di arsenico superiori ai livelli consentiti sono state infatti rilevate, ad esempio, nel pane prodotto nell’area del viterbese. La causa è da individuarsi nella maggiore presenza di arsenico nei terreni ma anche nell’uso di acqua erogata dalla rete idrica – e ‘fuori norma’ rispetto alla concentrazione di arsenico – utilizzata per irrigare. Ciò significa che la popolazione di queste aree è soggetta ad una maggiore esposizione all’arsenico non solo per l’utilizzo dell’acqua ma anche attraverso la catena alimentare.
L’arsenico nei tubi è un compagno fedele che non accenna ad essere messo alla porta da circa 10 anni, quando l’Unione Europea ha diramato la direttiva DWD, Drinking Water, recepita in Italia con decreto nel 2001. Anche se il quadro è migliorato rispetto al 2009, rileva l’Istituto Superiore di Sanità, quando ‘a rischio’ per l’emergenza arsenico nell’acqua erano, solo nel Lazio, più di 854.000 abitanti, oggi la situazione resta ancora di emergenza per circa 260mila residenti.
L’acqua che esce dai rubinetti di Velletri, comune alle porte di Roma, la concentrazione di arsenico registrata nelle acque dalla Asl locale avrebbe addirittura superato i 50 microgrammi/litro, ma ai cittadini è stato dato l’allarme solo molti anni dopo. A Ronciglione e Caprarola, che si affacciano sul lago di Vico, una delle fonti dell’approvvigionamento idrico, al problema dell’arsenico si aggiunge quello dell’alga rossa che prolifera nel lago e rilascia tossine pericolose per la salute. Nella sola Tuscia la concentrazione della sostanza nell’organismo è oltre il doppio rispetto a quella nella popolazione generale e maggiori concentrazioni sono state rilevate anche nei bambini. Un’ordinanza dei sindaci dei Comuni interessati hanno dichiarato la non potabilità dell’acqua e gli unici utilizzi consentiti sono il lavaggio di indumenti, stoviglie e ambienti, scarico water e impianti di riscaldamento: vietato bere, cuocere, preparare alimenti e bevande, lavarsi i denti e fare la doccia nel caso in cui si abbiano patologie cutanee.