RAPPRESENTANZA SINDACALE: un accordo infame, tende a escludere dalla contrattazione e dalle elezioni delle RSU i sindacati non preventivamente messisi d’accordo con il padrone.

Cgil, Cisl e Uil e Confindustria la scorsa settimana hanno raggiunto l’accordo sulla rappresentanza e la “democrazia sindacale”, definizione decisamente paradossale se si guarda al contenuto .un accordo infame

I leader dei sindacati Susanna Camusso, Raffaele Bonanni, Luigi Angeletti ed il presidente degli industriali, Giorgio Squinzi, hanno siglato l’intesa dopo 4 ore di confronto e vari mesi di incontri separati e non ufficiali.
Con l’accordo interconfederale si introducono nuove regole per misurare la rappresentatività delle organizzazioni sindacali, certificare gli iscritti e il voto dei lavoratori e a dare “certezza” agli accordi sindacali, che una volta approvati e ratificati a maggioranza semplice varranno effettivamente per tutti..
Tradotto: nessuno potrà scioperare contro quanto deciso soltanto dai “complici” e dalle imprese.
”E’ un accordo storico”, commentano cinguettando all’unisono Camusso e Squinzi. ”un accordo che mette fine ad una lunga stagione di divisioni”, aggiunge il leader della Cgil.
”Dopo 60 anni definiamo le regole per la rappresentanza, che ci permette di avere contratti nazionali pienamente esigibili”, sottolinea con più sincerità il presidente di Confindustria. Si prevedono infattiregole per ”l’esercizio del diritto di sciopero e sanzioni per mancato rispetto e le conseguenti violazioni”, sottolinea ancora Squinzi.
“E’ una svolta davvero importante nelle relazioni industriali”, dice il leader della Cisl, Raffaele Bonanni. “La Cisl è molto contenta. Abbiamo perseguito con molta forza questo obiettivo”.
Quello che nessuno dice è che solo i sindacati firmatari di questo accordo saranno ammessi ai tavoli di trattativa a qualsiasi livello. Come dire che in Parlamento possono essere eletti solo i partiti che già si sono messi d’accordo sulla formazione del futuro governo…
Il plauso all’accordo arriva anche dal premier Enrico Letta che twitta: ”Una bella notizia l’accordo appena firmato Confindustria-sindacati: è il momento di unire, non di dividere per combattere la disoccupazione”.
Con questo accordo si mettono nero su bianco le regole per certificare gli iscritti e il voto dei lavoratori, indicando la soglia del 5% per sedere al tavolo della contrattazione nazionale.
Nel settore privato, come già accade da 20 anni nel pubblico impiego, la rappresentatività verrà misurata attraverso l’incrocio, il mix tra numero degli iscritti e voto proporzionale delle Rsu (rappresentanze sindacali unitarie).
L’intesa indica anche le regole per validare gli accordi, definiti dalle organizzazioni sindacali che rappresentano almeno il 50% più uno, cioè la maggioranza semplice. Si noti bene: la maggioranza delle organizzazioni sindacali, non dei lavoratori da queste organizzate. In pratica, se tre organizzazioni minoritarie firmano e una – assolutamente maggioritaria – no, l’accordo è valido per tutti.
La stessa maggioranza semplice richiesta per la consultazione certificata dei lavoratori, il voto a cui cioè verranno sottoposti gli stessi accordi. Conoscendo le modalità di votazione praticate nelle quasi totalità delle aziende, siamo al momento pressoché certi che raramente i lavoratori avranno l’occasione di “bocciare” un accordo sgradito.
Così se un contratto nazionale è sottoscritto dal 50% più uno della rappresentanza sindacale ”tutti – chiarisce senza giri di parole Squinzi – sono tenuti a rispettare quanto stabilito da quel contratto”. Ovvero a non muovere un dito in azienda. E’ in pratica la cancellazione del diritto di sciopero, almeno per quanto riguarda i sindacati; visto che la Costituzione ancora lo riconosce come diritto individuale. Ma per chi vi dovesse ricorrere sono state appunto approvate le “sanzioni”.

 

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