Una malattia professionale tabellata non deve essere provata dal lavoratore ma è sufficiente che la scienza medica abbia denunciato una probabilità e non solo possibilità che quell’attività può causare la patologia.
E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la Sentenza n. 19047/2006.
La vedova di un calzolaio, morto di tumore alla vescica, aveva agito contro l’Inail sostenendo che le sostanze con le quali il marito lavorava erano cancerogene. Sia in primo che in secondo grado, le richieste della donna erano state respinte.
Nell’esaminare il caso, la Cassazione, accogliendo il ricorso della vedova, ha stabilito un importante principio :
«in tema di tutela delle malattie professionali, in caso di agente patogeno tabellato suscettibile di causare una specifica malattia su un individuato organo (del corpo) bersaglio, e non altre della stessa famiglia, la presunzione legale di origine professionale riguarda solo le patologie delle quali la scienza medica abbia accertato in generale il nesso causale con l’agente patogeno tabellato. Tale nesso può risiedere anche in un giudizio di ragionevole probabilità, desunta dagli studi scientifici ed anche da dati epidemiologici».
Pertanto, laddove la scienza medica afferma che un tipo lavoro “probabilmente” comporta un tipo patologia, non grava sul lavoratore l’onere della prova.
Il nesso causale tra lavorazione e malattia professionale è presunto per legge.