Altro che nullafacenti fuori corso. Gli universitari italiani sono sempre più studiosi, pendolari e lavoratori. Come spiega la sesta indagine Eurostudent realizzata su un campione di circa 4.500 ragazzi iscritti alle università statali e non. Lavora il 39% dei giovani che frequenta un corso di laurea triennale (nel 23,2% dei casi si tratta di lavori occasionali). Una percentuale che sale al 45,4% se si prendono in considerazione le lauree magistrali. Mentre scende (di molto) per gli studenti di ingegneria (30%), architettura (29%), medicina (23%). Percorsi accademici in cui è più difficile conciliare le due attività. Il lavoro è più diffuso tra gli universitari «di origine sociale non privilegiata» (41,7%) ma anche fra i ragazzi con genitori laureati (29,8%). Anzi, secondo il rapporto che analizza le condizioni di vita e di studio degli universitari italiani ed europei, almeno un giovane italiano su cinque ha svolto un lavoro retribuito prima di entrare all’università.
Perché se è vero che trent’anni fa gli studenti erano, nella stragrande maggioranza dei casi, solo studenti, oggi non è più così. Anche tra le famiglie benestanti. «La quota dei ragazzi che lavora è cresciuta in Italia per tutti gli anni ’90 fino ad oggi — spiega Giovanni Finocchietti, direttore dell’indagine Eurostudent — facendo allineare l’Italia a una tendenza ampliamente diffusa in tutta Europa». In più della metà dei Paesi europei infatti, lavora e studia almeno il 40% dei giovani fuori casa. Ma non a discapito dei libri. Il 65,2% degli studenti italiani lavoratori è un non frequentante, ma sta chino sui libri circa trentuno ore a settimana, contro le quarantuno dei colleghi frequentanti (non lavoratori).
Più in generale, il tempo settimanale dedicato al solo studio, è in Italia tra i più alti in Europa: 38 ore settimanali contro le 31 dei francesi, le 37 dei tedeschi, le 36 degli spagnoli. Studio che cambia anche per effetto della crisi: moltissimi gli universitari che fanno i pendolari (43,8%) dalla città di residenza a quella dell’università. Il 73% vive a casa con i genitori. Una chiara strategia di sopravvivenza (economica), proprio come quella di aspirare a un lavoro subito dopo la laurea triennale: perché la possibilità delle famiglie di sostenere per molti anni gli studi dei figli è diminuita. Anche per questo, la propensione degli studenti di primo ciclo a proseguire gli studi, è passata dal 63% del 2003 al 54% rilevato nel 2009. A diminuire sono anche le pari opportunità di accesso all’università: mentre infatti crescono i genitori degli studenti laureati, diminuiscono quelli con istruzione medio-bassa. «I costi di mantenimento allo studio sono disincentivanti per i ragazzi meno abbienti — precisa Finocchetti — e il 24% posticipa l’iscrizione anche dopo due anni dalla maturità. Ma nonostante tutto, l’istruzione é ancora considerata un ascensore sociale».
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